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Conferimenti al fair value

In base al DLgs. 224/2010, nei conferimenti diversi dal denaro nelle spa, il «valore equo» coincide con il fair value
Lo scorso 24 dicembre è stato pubblicato in Gazzetta il DLgs. 29 novembre 2010 n. 224, con il quale viene fatta maggiore chiarezza sul tema dei conferimenti diversi dal denaro nelle società per azioni.
Invero, la materia è stata oggetto di significative innovazioni in sede di recepimento della Direttiva 2006/68/CE (c.d. “seconda direttiva”): il DLgs. 142/2008, che ne reca l’attuazione, ha infatti inserito nel codice civile gli artt. 2343-ter e 2343-quater, inerenti rispettivamente ai conferimenti di beni in natura o crediti senza relazione di stima, nonché alle circostanze eccezionali o rilevanti che incidono sulla valutazione.
In particolare, il legislatore ha ammesso la possibilità che – al verificarsi di determinate condizioni – i conferimenti in oggetto possano essere effettuati con modalità alternative a quelle previste dall’art. 2343 c.c. Quest’ultima norma, come noto, impone l’obbligo di sottoporre il bene oggetto del conferimento alla valutazione di un esperto designato dal tribunale.
Nel riconoscere la possibilità di derogare a tale procedura, il legislatore ha dato il via ad un significativo mutamento delle regole tradizionalmente imposte agli operatori del diritto societario, nell’intento dichiarato di conseguire obiettivi di semplificazione. Di contro, la formulazione letterale delle nuove norme inserite nel codice civile ha creato non pochi problemi interpretativi: di qui l’intervento correttivo realizzato con l’emanazione del DLgs. 224/2010.
In dettaglio, è da accogliere assolutamente con favore la modifica dell’art. 2343-ter c.c. nella parte in cui chiarisce che il “valore equo”, ove per la valutazione del bene o del credito conferito si scelga di fare riferimento (in alternativa alla perizia ex art. 2343 c.c.) al valore iscritto nel bilancio dell’esercizio precedente a quello nel quale è effettuato il conferimento, altro non è che il fair value definito dai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea.
La precedente definizione di “valore equo” aveva infatti destato più di una perplessità, non risultando chiaro se con la stessa si fosse inteso far riferimento appunto al fair value, ovvero ad un valore rilevato in modo corretto secondo la normativa applicabile ai bilanci del soggetto che effettua il conferimento. Sul punto si era soffermato il CNDCEC con la circolare n. 11/IR nella quale, dopo aver esaminato entrambe le interpretazioni, si era concluso che in ogni caso, a prescindere dalla soluzione accolta, sotto il profilo della tutela della certezza del capitale sociale il valore contabile di un bene non è in alcun modo equiparabile al valore dello stesso quale risulterebbe all’esito di una stima effettuata ai fini del conferimento.
Il riferimento al “bilancio dell’esercizio precedente” completa l’azione chiarificatrice del decreto correttivo: discostandosi dalla seconda direttiva, che conteneva un preciso richiamo ai “conti obbligatori dell’esercizio precedente”, il DLgs. 142/2008 faceva riferimento, più genericamente, ad “un bilancio approvato da non oltre un anno”, generando in tal modo ulteriori interrogativi, sia in relazione alla tipologia di bilanci utilizzabili, sia in ordine al computo del periodo antecedente alla data del conferimento.
Nel caso in cui, invece che al bilancio dell’esercizio precedente, si scelga di fare riferimento ad una stima già effettuata anteriormente al conferimento (come suggerito dal secondo dei casi contemplati dall’art. 2343-ter, comma 2 c.c.), non dovrà più farsi riferimento al “valore equo”, bensì semplicemente al “valore” risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre sei mesi il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento.
Nel caso di specie, il decreto correttivo non si è limitato ad eliminare la nozione di “valore equo”, ma anche a delimitare l’arco temporale di riferimento, poco chiaro nella versione originaria dell’art. 2343-ter c.c., ove si stabiliva che la valutazione dovesse essere “precedente di non oltre sei mesi il conferimento”. Affinché detta valutazione possa essere utilizzata ai fini del conferimento, permane la necessità che la stessa provenga da un esperto, dotato di adeguata e comprovata professionalità, indipendente da chi effettua il conferimento, dalla società e – aggiunge il correttivo – dai soci che esercitano individualmente o congiuntamente il controllo sul soggetto conferente o sulla società medesima.
Non è chiaro se la valutazione debba essere fatta ai fini del conferimento
Ad ogni modo, al di là dei chiarimenti brevemente illustrati, restano immutate tutte le perplessità legate all’utilizzo di una valutazione preesistente. La norma, infatti, non precisa che detta valutazione debba essere stata effettuata ai fini del conferimento e, siccome ogni valutazione assume un preciso significato solo nell’ambito del contesto in cui è effettuata, appare evidente che l’assunzione di una stima preesistente può avere un senso soltanto se quella stima è stata effettuata per gli stessi fini.

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