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Contenzioso: se il Fisco sbaglia e perde, deve pagare Per un processo tributario equo, sarebbe utile inserire una contropenale a carico dell’Agenzia delle Entrate


Contenzioso: se il Fisco sbaglia e perde, deve pagare

Per un processo tributario equo, sarebbe utile inserire una contropenale a carico dell’Agenzia delle Entrate

Pubblichiamo l’intervento di Giampiero Guarnerio, Delegato per Milano dell’A.N.D.C. – Associazione Nazionale Tutela Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili.
La relazione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di Milano, Carlo Palumbo (persona di cui tengo a sottolineare, oltre alle qualità personali, l’onestà intellettuale), letta in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario Tributario il 25 febbraio 2011, contiene due passaggi significativi.

Il Direttore sostiene che “sono da respingere quelle teorie processualiste che tendono a vedere nel Fisco e nel contribuente due «privati» in lite di fronte a un giudice chiamato a dirimere la controversia”. E, poco oltre, “Sotto il profilo tecnico l’Amministrazione finanziaria si presenta nel processo come l’istituzione di riferimento della tassazione. Ogni altra e diversa prospettazione del ruolo che compete ai protagonisti del processo rischia di svalutare l’azione amministrativa e delegittimare di fatto gli istituti deflativi del contenzioso in applicazione del principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria”.
Più avanti il Direttore indica nel 70% l’indice di vittoria per valore degli uffici dell’Agenzia della Lombardia presso le Commissioni Provinciali, e del 60% presso le Commissioni Regionali e la Cassazione.
Statistiche rese pubbliche dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria il 22 maggio 2010 relative al numero dei casi trattati, tolti i ricorsi inammissibili, dicono che il Fisco soccombe totalmente nel 45% dei casi, è vittorioso totalmente nel 40% dei casi, e nel rimanente 15% è parzialmente vittorioso.
Pongo una prima domanda: secondo i lettori, se un dottore commercialista sbagliasse sistematicamente il 30% o il 45% dei propri pareri rispettivamente in termini di valore o di numero, che fine farebbe?
Perché un tasso di rilievi errati così elevato (che, non dimentichiamo, causano danni elevatissimi ai contribuenti corretti, non solo in termini di costo, ma in termini di rappresentazione in bilancio dei rischi di contenzioso, con conseguenti rischi collaterali di falso in bilancio, denunce dei soci, ecc.) viene giudicato positivamente anche da una persona corretta come il dottor Palumbo? Come può l’Agenzia delle Entrate sentirsi come “l’istituzione di riferimento della tassazione”, cioè una parte “superiore” rispetto al cittadino, quando poi nell’analisi delle statistiche si pone come una qualsiasi parte che si accontenta del 51% dei successi?
Non siamo d’accordo.
Un ruolo “superiore” potrebbe essere riconosciuto se effettivamente l’Agenzia si comportasse da “superiore”, cioè vincendo il 99% delle cause; quando avrà il coraggio di chiudere le verifiche ai contribuenti elencando non solo gli errori a danno del Fisco, ma anche quelli a favore del Fisco; quando baderà alla sostanza non solo nei casi in cui “conviene” all’Erario, ma anche quando “conviene” al contribuente; quando, insomma, accetterà serenamente il fatto che un verbale senza rilievi è un fatto positivo e non un lavoro fatto male.
Finché questo non accadrà, l’Agenzia delle Entrate resta una comunissima parte in causa.
Anzi, ancora gode di un vantaggio incommensurabile. Quando sbaglia, non paga. Anzi, con tutta probabilità proprio questo è il punto. In fondo, al contribuente un errore costa caro, carissimo (di solito dal 100 al 200% dell’imposta, cui si aggiungono le conseguenze penali e il rimborso delle spese del contenzioso). All’Agenzia un errore quanto costa? Solo le spese del contenzioso.
Quanto rischia, quindi, l’Agenzia nel promuovere un rilievo “probabilmente sbagliato”? Poco o niente. E per quale ragionevole motivo dovrebbe dunque rinunciare a muovere rilievi tutto sommato infondati?
Basterebbe il 10% di quanto richiesto al contribuente
Se si vuole veramente un processo equo – come peraltro tutti a parole invocano, compreso il Presidente della Commissione Regionale della Lombardia, Antonio Simone – occorre che parità vi sia anche nelle premesse.
Chi è convinto delle proprie ragioni non deve temere di dover pagare se sbaglia. La richiesta quindi è semplice, ed è condivisa dal 93,43% dei colleghi milanesi interpellati nel corso di un’indagine promossa dalla Commissione di Diritto Tributario Nazionale sotto la Presidenza di Luigi Martino: occorre una contropenale a carico del Fisco – anche limitata al 10% di quanto lo stesso Fisco richiede al contribuente.
La proposta risolverebbero molti problemi, abbattendo significativamente, ne siamo certi, la montagna di contenzioso che ci sommerge, riportandola a livelli europei.
E premiando, finalmente, i contribuenti onesti.

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